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mercoledì, aprile 08, 2009

Rischiosa riflessione sulle conseguenze della tragedia in Italia

L'italiano nella tragedia ha un comportamento curioso.
Sente profondamente il dramma vicino a casa.
Che è una buona cosa, sia chiaro.
O meglio, mi piacerebbe sentire lo stesso dolore per un terremoto un po' più lontano, ma è nella natura delle cose sentire maggiore empatia per chi ci sta vicino.
Poi però tende a passare a una rabbia scomposta che personalmente trovo un filo ipocrita.
Spero di non offendere nessuno ma sento che lo farò, per cui preventivamente mi scuso.
Prendo fuckbook come esempio.
Si moltiplicano gli appelli sul dissocial network più celebre.
E le richieste sono le più bizzarre. Chiediamo ai politici di rinunciare al loro stipendio, togliamo al grande fratello i loro premi, prendiamo il montepremi del superenalotto e usiamolo.
Immagino le buone intenzioni di chi diffonde messaggi simili.
Però.
Però mi resta un dubbio. Che sia la solita mossa di scaricare su altri responsabilità e costi. Voglio dire, allo stipendio di aprile potrebbero rinunciare mica solo i politici. Perché invece di chiedere, al solito, che gli odiati politici paghino, uno non piglia, va in banca e dona mezzo stipendio? Poi va a casa e scrive su fuckbook "oh, regaz, sto mese all'aperitivo non ci vediamo. perché? donate mezzo stipendio alle vittime del terremoto e poi lo scoprite da soli". In fondo gli onorevoli mona guadagnano bene, sì, ma mica cifre così clamorose. Quel migliaio scarso di stipendioni, cosa volete che cambi? (Capirei si chiedesse la stessa cosa agli ad delle prime 1.000 aziende italiane... Scherzo eh)
E il grande fratello? Ma che cacchio sposta il montepremi del grande fratello? Cos'è st'ondata moralizzatrice che accompagna le tragedie? Sia chiaro che se chiudono il grande fratello la mia vita cambia meno di zero, non ho mai visto un minuto. Ma perché improvvisamente ci scandalizza il premio del grande fratello? Voglio dire, perché prima no? Perché non ci scandalizzava quando costruivano l'ospedale? Perché nessuno chiede che lo stipendio dei calciatori venga dimezzato per costruire una scuola antisismica, cazzo ne so, in Molise per esempio, PRIMA che un terremoto arrivi?
E tra quelli che sputano bestemmie contro politici e amministratori ladri che hanno permesso la costruzione di casette di marzapane, quanti avevano già bello e pronto il progettino fatto dall'ingegnere a basso costo per aggiungere una stanzina grazie al nuovo piano casa (che prima del dramma abruzzese aveva un articolo, il 6, intitolato «Semplificazioni in materia antisismica» ma nessun appello si diffondeva su fuckbook)? E quanti hanno sfruttato un condono edilizio o hanno preferito risparmiare qualche migliaio di euro pagando in nero la ditta che la sua casetta la tirava su?

Io vorrei vederci incazzati non solo ora ma tra un anno, quanto il governo, la regione o la provincia presenterà un altro progetto di legge demenziale teso a rendere più snelle le procedure per la costruzione, l'ammodernamento e la ristrutturazione di palazzi, case, chiese, ospedali, scuole, ospizi, case al mare, case in montagna, terze case, garage, soppalchi. O magari vorrei vederci incazzati quando il nostro amico comune ci dice, tutto infastidito, che per rifare un muro ti rompooooono il caaaaaaazzo, guarda te non hai un'idea di quanto ti rompoooooono il caaaaaazzo!

ps
immagino che molti tra coloro che diffondono messaggi simili a quello da me citato su facebook avranno anche donato personalmente somme sostanziose. spero si sia capito che il mio discorso è piuttosto generico.

venerdì, marzo 07, 2008

Un esercito di precari fragile e malpagato

A costo di uscire dai binari ridanciani (bello eh "ridanciani"?) che mi hanno portato al successo (iahahahah), a costo di annoiarvi a morte, a costo di totalizzare un record di 3 lettori per il mio prossimo post, voglio postare questo pezzo:

Un esercito di precari fragile e malpagato
Aldo Nove - La Repubblica


Prima che Bauman, nella sua inesausta pletora di libri "liquidi", ci consegni quello sul salario, possiamo provare a immaginarci cosa, nel nostro mondo liquido, vi corrisponda: il salario nel 2008 è indubbiamente speciale. Ha riflessi chimerici, è reso squassante dalla sua imprevedibilità, dalla sua incertezza.

"Se mi pagano" è la chiave di volta (di un edificio pericolante da troppo) del discorso sul salario oggi.

Mettiamo il lavoratore a termine, a progetto: un laureato, magari in materie umanistiche, magari giovane e dunque quarantenne, a cui viene commissionato un lavoro. In Italia parlare di salario equivale, per strana convenzione, a mettere in pubblico i propri panni sporchi: non è educazione, non si fa, ma cosa ti viene in testa.

Quindi il "giovane" laureato quarantenne di cui sopra spesso non sa neppure quanto verrà pagato. È maleducazione. Chiederlo e saperlo. Valgono le approssimazioni allucinatorie del gioco televisivo a premi in denaro: "C´è una bella sommetta" (topos del linguaggio di Mike Bongiorno secondo Eco), "I soldi ci sono", fino al paramafioso "Non ti preoccupare" sono alcune delle risposte alle timide domande sulla consistenza del salario di chi il lavoro, per necessità, lo fa "alla cieca", o quasi.

C´è qualcosa di amorale, di atrocemente comico in tutto questo: modulandosi addirittura, per scherzo epocale, sul rapporto sentimentale: chi ti dà un lavoro in fondo ti sta facendo un grande favore. Lo fa quasi per amore, sceglie te tra migliaia di altri e dunque non è bello stare lì a parlare di cifre.

Chi chiede informazioni su quanto verrà retribuito per un lavoro contravviene alle regole dell´etichetta del precario: se sapesse, che precario sarebbe? Così si sa che si dovrebbe essere pagati. Una certa cifra, in un certo modo, in un qualche tempo. "In un certo modo" significa che buona parte del tempo del neosalariato viene spesa inventando i modi (in rapporto al tempo, alle circostanze) attraverso i quali il lavoratore avrà ragionevoli speranze di recuperare quanto gli è dovuto o meglio e forse generosamente elargito: si tratta di inventare le forme di recupero di crediti che, per reattività pavloviana, spesso perdono credibilità, riducendo l´intero mondo del lavoro (la sua percezione soggettiva) a una sorta di stagismo universale. Condizione sfibrante e involutiva.

Sono in tanti, a quarant´anni, a sentirsi sotto la pressione delle ugge della "mancetta": benevoli datori di lavoro chissà se benevoli lo saranno davvero, al momento dell´erogazione, posto che un´erogazione vi sia. I bamboccioni sono in fondo adulti obbligati a restare adolescenti se non bambini dall´assoluta mancanza di serietà retributiva in un mercato del lavoro che scherza con i rapporti umani e lo scherzo, da un´intera generazione, non si capisce se avrà fine domani o tra vent´anni o mai.

Ho sentito dire (tante volte, troppe) che il lavoro "retribuito", spesso, è articolato in due poderose fasi, la seconda delle quali, fondamentalmente inedita, è la principale, più delicata e sostanziosa. La prima consiste nel lavoro, la seconda nell´attuazione della difficile retorica di telefonate, sapientemente (e nevroticamente) studiate per far sì che il lavoro volontario si trasformi in lavoro salariato.

Generalmente si attende la scadenza effettiva del tempo massimo di pagamento (supposto che sia stato stabilito: altrimenti è tutto più complicato, si procede per approssimazione) e allora si inizia a telefonare per ricordare che si dovrebbe essere pagati.

Nella mia esperienza di non specialista del lavoro ma di semplice quarantenne a contatto con altre persone sento ogni giorno persone lamentarsi di questa difficile, esasperante realtà lavorativa. È umiliante elemosinare quello che ti spetta.
Ti fa sentire davvero un bamboccione. Una strana commistione tra assenza di autostima e voglia di riscatto per riuscire a porsi in una "dialettica lavorativa" che possa semplicemente, realmente definirsi tale. Nella prassi quotidiana, uno stillicidio di aspettative sotto forma di inutili attese al telefono, di appuntamenti mancati, di verifiche quotidiane del proprio conto corrente per vedere se magicamente "quei soldi" sono poi arrivati. "Quei soldi" (e dunque non altri) sono la formula del frastagliamento di chi, per arrivare a un salario degno di essere definito tale, e che garantisca quindi la sopravvivenza, deve sommare diversi micro salari.

Come delle caricature di imprenditori al gradino più basso della scala gerarchica, i lavoratori di questo tipo (spesso laureati) accumulano ansie inaudite in un vissuto del tutto probabilistico della propria realtà salariale.

Questa è la cifra principale del precariato: aver fatto un lavoro (una serie di lavori), dover avere di conseguenza una certa cifra sul conto corrente e ritrovarsi a chiedere prestiti (generalmente, ovviamente ai genitori) perché quella cifra (quella somma di cifre) non c´è, va "sollecitata", forse arriva domani e così per mesi. Il pericolo maggiore è che nell´Italia del 2008 si arrivi a un´assuefazione. Psicologicamente è già avvenuto. Ma solo psicologicamente e per fortuna.

C´è un margine di resistenza oltre il quale non è possibile andare, ed è quello della corporeità: detto in altre parole, fino a che si mangia si può scherzare. Si può scherzare con la dignità spazzata via del lavoratore, con la sua riduzione d´ufficio a pedina insignificante della contrattazione.

Ma oltre un certo livello non si scherza più. Quel livello è quello della fame. La fame vera. In Italia non ci siamo ancora arrivati. Ci si "arrangia": a scapito della propria dignità, in un sogno guasto riempito di telefonini e distrazioni a basso costo da mondo incantato per adulti.

Ma appena i "bamboccioni" (è la terza volta che lo scrivo: scusatemi, ma è un termine di una violenza, di un´ottusità micidiale, a suo modo, satanicamente, geniale) cominciassero a stare davvero male, a non avere di che mangiare, salta tutto. Si chiama rivoluzione e la fanno direttamente le pance. Prima c´è il limbo dell´attuale condizione salariale.

mercoledì, febbraio 14, 2007

Personale

Un anno fa, oggi, moriva il nonno Guido. Era mio nonno, tanto per essere più chiaro.
Poiché era una persona, come si dice troppo spesso dei morti, "speciale" mi va di ricordarlo. Lo faccio pure qui, postando quel che scrissi quella sera (dice, perché tu se muore tuo nonno scrivi? Dico, sì).

Oggi è morto mio nonno (non è mancato, è proprio morto).
Non ho un'idea chiara del perché sto scrivendo sta cosa. Mi va, lo faccio.
Aveva 97 anni, dunque nulla di straordinario. Lo straordinario è forse che fino a un mese fa andasse al bar a giocare a carte, rifiutandosi di usare la zanetta che "la userò poi quando sarò vecchio".
Era il mio nonno preferito, un vecchio contadino pieno di una dignità che sapeva di antico più che di vecchio. Ricordo l'orgoglio all'arrivo dei tre nipoti maschi, quell'orgoglio genuino che può dimostrare solo chi ha coltivato i campi senza trattore e aveva buonissimi motivi per preferire gli uomini alle donne.
Ogni volta che sono andato a trovarlo, alla domanda "come stai, nonno?" ha sempre risposto allo stesso modo: "MAH!". Un mah dubbioso e ironico, di chi non è sicuro di niente perché non si fida da tanto di chi vuole vendere una sola verità, tutta intera. Nello stesso tempo un mah che lascia intuire che un pezzetto di verità lui se lo sarebbe pure guadagnato negli anni e se taci un attimo, se la pianti di fare domande idiote, magari è in giornata e te lo passa, quel pezzetto.
L'ultima volta che sono andato a trovarlo era in un letto di ospedale, silenzioso e non so fino a che punto cosciente. Gli ho chiesto come stava e lui si è tolto la maschera dell'ossigeno solo per rispondermi: "MAH!" L'infermiera voleva rimettergli la mascherina ma lui non pareva d'accordo. Nella mia testa, quel rifiuto era un po' un "senta un po' signorina, secondo lei se a 97 anni non respiro più con i miei polmoni, sarà mica il caso che non respiri affatto?".
Ora non c'è più. Curiosamente è morto il giorno della nascita di mio fratello (e per mia madre sarà ancora più strano). Le riflessioni su cicli e ricicli di vita e morte le lascio ad altri.
Ohi nonno, che aria tira di là? Non ci sono fregature vero?
MAH!

giovedì, febbraio 01, 2007

Mi sento un po', come dire, precario

Un annetto fa ho mandato una email ad alcuni di voi. Non avevo blog ma ogni tanto spedivo i miei deliri di saggezza presunta via email. Ne ho ripescato uno sul precariato dopo aver letto un bel pezzo di Beppe Severgnini sul Corriere della Sera. Di seguito, il pezzo di Severgnini e poi quello che scrissi io (citando in realtà, anche allora).

"Non c'è più il futuro di una volta". E' una scritta su un muro, riprodotta sulle pagine milanesi del "Corriere", e l'ho ritrovata in internet, utilizzata in tutte le salse possibili. Se è il motto dei trentenni italiani - come pare - non è male. In fondo non è una lamentela: è una constatazione.
Capisco che il Paese non abbia tempo d'occuparsi di questi dettagli: al momento è troppo preso dalle disavventure di un galletto sbranato dalla chioccia dopo aver fatto il pavone ai Telegatti (un'altra prova che l'Italia è un zoo). Però c'è in ballo il futuro di una generazione: forse è il caso di ricordarsene, ogni tanto.

Qual è il problema? Lo sapete: che la flessibilità (necessaria) è diventata incertezza (dolorosa). Il lavoro immobile - e ormai impossile, se non nella fantasia degli ultraconservatori di sinistra - ha lasciato il posto all'otto volante dell'impiego. Su e giù, giù e su, dentro e fuori, sopra e sotto. Uno all'inizio si diverte: ma poi, immagino, vien da vomitare.

Tempo fa, proprio qui, avevo proposto una modifica dell'articolo 1 della Costituzione: "L'Italia è una Repubblica fondata sullo stage". La proposta ha divertito gli interessati, ma è stato un riso amaro. Lo stage - periodo gratuito di lavoro - sta diventando un aiuto stabile che i ragazzi italiani offrono alle aziende. Domanda: ma non doveva essere il contrario?

Del lavoro dei giovani discutono le TV e le radio, i giornali, i forum e i blog, l'università (che di futuro incerto è produttrice instancabile). La "Fondazione del Corriere della Sera" dedicherà all'argomento tre incontri in Sala Buzzati il 6, 13 e 20 febbraio. Sono usciti libri di tutti i tipi: informati, preoccupati, dotti e acuminati, come "Curriculum tipico di un trentenne atipico" (Marsilio). Scrive l'autore, Fabrizio Buratto: "Sono sempre stato un lavoratore atipico, anche quando non ci chiamavano così. Prima 'co.co.co', poi 'co.co.pro', poi 'cu.curu.cu.cu.paloma', poi 'a progetto'. Finito il progetto degli altri, per portare avanti i nostri progetti, dobbiamo cercare altri progetti, senza fare troppi progetti sui progetti altrui, che non sono mai sicuri." E' un buon riassunto. La mobilità, nelle economie di mercato, si compensa: ti do meno sicurezza domani, ma più soldi oggi. In Italia, no. Le retribuzioni sono rimaste uguali: ma prima erano stipendi sicuri, ora compensi occasionali. Le banche vogliono garanzie come vent'anni fa: negozi, ristoranti e servizi applicano prezzi modernissimi (fin troppo). Il popolo dei 1.000 euro (lordi) paga e si svena.
...
Certo, non per tutti è così. Qualche Sandokan - bravo, svelto, fortunato o protetto (magari queste cose insieme) - dalla giungla esce vincente, e va avanti. Ma quanti sono? La maggioranza non ha sentieri davanti a sé: solo ostacoli, oscurità e occasioni. Vederle al buio, però, non è facile. Si rischia di cadere, picchiare la faccia e farsi male. Come dire: non c'è più il futuro di una volta, e anche il presente lascia a desiderare.(Beppe Severgnini)

Sono andato a cercare la definizione esatta del termine precarius.

Il vocabolario dice: precario, mendicato, ottenuto con preghiere o per favore; che dipende dall’altrui arbitrio.

Lingua interessante questo latino, non ho in mente definizione migliore di questa per definire il lavoro. Altro che flessibile, precario è la definizione più adatta.

Cito: “Sul piano sociale e psicologico, l’impatto più profondo della flessibilità consiste nel rendere precaria la posizione delle persone prese di mira e nel mantenerle precarie, con l’adozione di misure quali la sostituzione dei contratti a tempi indeterminato e garantiti dalla legge con assunzioni a tempo indeterminati e garantiti dalla legge con assunzioni a termine o collaborazioni temporanee, che permettono il licenziamento immediato. Tutte tecniche di assoggettamento che, nel complesso, producono una situazione di incertezza endemica e permanente. La cieca esecuzione dei compiti fissati dalle imprese si radica in questo senso di incertezza annichilente, nella paura, nello stress e nell’ansia dell’incertezza. E poi c’è l’arma decisiva: la minaccia costante, a tutti i livelli delle gerarchia, del licenziamento, e quindi della perdita dei mezzi di sussistenza, dei diritti acquisiti, di un posto nella società e della dignità umana che esso comporta. Il fondamento ultimo di tutti i regimi economici che si pongono sotto il segno della libertà è perciò della violenza strutturale della disoccupazione, della precarietà e dell’implicita minaccia del licenziamento”(Zygmunt Bauman).

mercoledì, gennaio 17, 2007

Processo

Immagino tutti ricordiate la storia di Federico Aldrovandi, il ragazzo di Ferrara morto in seguito a una collutazione con la polizia. Dopo parecchio tempo è cominciato il processo. Poco sotto trovate i capi di accusa e una foto che non è bella ma è significativa (e in questo caso non c'è nulla di voyeuristico, serve a capire). Non commento, non credo ce ne sia bisogno.

FORLANI PAOLO (1961)

SEGATTO MONICA (1964)

PONTANI ENZO (1965)

POLLASTRI LUCA (1970)

IMPUTATI

Delitto p. e p. dagli art. 113, 51, 55, 40 cpv 589 c.p. perché, in cooperazione tra loro e consapevoli ciascuno della condotta altrui, in qualità di agenti componenti le volanti alpha 2 e alpha 3, intervenuti in via Ippodromo a seguito di chiamate di privati cittadini che avevano segnalato la condotta molesta e di disturbo di un giovane (successivamente identificato in Federico Aldrovandi), con colpa consistita nell’eccedere i limiti dell’adempimento di un dovere ed in particolare:

1. nell’avere omesso di richiedere immediatamente l’intervento di personale sanitario per le necessarie prestazioni mediche a favore di Federico Aldrovandi descritto dagli stessi agenti in stato di evidente agitazione psicomotoria;
2. nell’avere in maniera imprudente ingaggiato una colluttazione con Federico Aldrovandi al fine di vincerne la resistenza eccedendo i limiti del legittimo intervento; in particolare, pur trovandosi in evidente superiorità numerica, percuotevano Federico Aldrovandi in diverse parti del corpo facendo uso di manganelli (due dei quali andavano rotti) e continuando in tale condotta anche dopo l’immobilazione a terra in posizione prona;
3. nell’avere omesso di prestare le prime cure pur in presenza di richiesta espressa da parte di Aldrovandi che in più occasioni aveva invocato “aiuto” chiedendo altresì di interrompere l’azione violenta con la significativa parola “basta”, mantenendo al contrario lo stesso Federico Aldrovandi, ormai agonizzante, in posizione prona ammanettato, così rendendone più difficoltosa la respirazione;

cagionato o comunque concorso a cagionare il decesso di Federico Aldrovandi determinato da insufficienza cardiaca conseguente a difetto di ossigenazione correlato sia dallo sforzo posto in essere dal giovane per resistere alle percosse sia alla posizione prona con polsi ammanettati che ne ha reso maggiormente difficoltosa la respirazione.

In Ferrara il 25 settembre 2005


Domani, come tutti i giovedì, c'è il blocco del traffico in tutti i capoluoghi della regione (ma anche a Imola). Il blocco è dalle 8.30 alle 18.30 e riguarda tutte le auto pre euro4 e tutti gli scooter pre euro2. Peer sapere se il vostro scooter è euro2, prendete il libretto, lo aprite e controllate quale direttiva rispetta. Se la direttiva CE è 2002/51/CE fase A, allora potete circolare.

In serata metto qualche foto di capodanno on line.

mercoledì, ottobre 18, 2006

Habeas Corpus? No, grazie

27 maggio 1679: viene emanato l'Habeas Corpus Act in Inghilterra. In realtà principi similari si trovano sin dal 1300 in varie giurisdizioni. In generale, nel diritto anglosassone, con questa locuzione si fa riferimento all'ordine emesso da un giudice di portare un prigioniero al proprio cospetto.

settembre 2004: in seguito agli attentati dell'11 settembre e alla seguente dichiarazione di stato di emergenza da parte del Presidente degli USA, la Corte Suprema degli Stati Uniti è chiamata a pronunciarsi su tre diverse sentenze di corti distrettuali e di circuito. In sintesi, i provvedimenti adottati dal signor Bush avevano portato alla lesione di alcuni diritti fondamentali (riconosciuti dalla carta di ginevra) di prigionieri in nome dello stato di emergenza sopra citato. La Corte Suprema si pronuncia contro le sentenze precedenti e stabilisce che "uno stato di guerra non costituisce un assegno in bianco per il Presidente quando coinvolge il diritto di un cittadino" riaffermando il ruolo del giudiziario nel valutare la discrezionalità dello stesso per quanto riguarda la restrizione della libertà personale.

17 ottobre 2006: il Presidente degli USA, signor George W. Bush, firma una nuova legge per contrastare il terrorismo. Tra le altre mirabili novità, la negazione del habeas corpus per i prigionieri ai quali viene sostanzialmente impedito di fare ricorso a una corte federale per contestare una detenzione ritenuta ingiusta. Vengono poi convalidati gli interrogatori tramite "procedura alternativa", ovvero viene fornita carta bianca alla CIA per i suoi interrogatori segreti e senza garanzie. La notizia viene dal NY Times ma temo non vedrete l'articolo, serve l'iscrizione al sito. In Italia ho trovato solo il pezzo di repubblica. Ho cercato sul carlino ma stranamente non c'era nulla. Il corriere invece si limita a un trafiletto.

Oh, io di common law non so una cippa, ho scritto quel che ho capito, se sbaglio mi corigerete.

lunedì, ottobre 09, 2006

Tempo di elmetti

Ho raccolto un po' di notizie recenti.
Anna Politkovskaia è stata uccisa. Era una giornalista russa che scriveva su Novaya Gaseta, un quotidiano moscovita che, naturalmente, manco sapevo esistesse prima di questo episodio. Episodio significativo perché questa signora era una convinta oppositrice di Putin e della sua politica. Era rimasta una delle poche, pare, a raccontare quello che accade in Cecenia (dove i russi fanno un po' quel cazzo che pare loro) e ad accusare Putin per le politiche economiche folli messe in atto dal "judoca".
Questa storia è triste per varie ragioni. Perché dimostra che la democrazia non è arrivata nemmeno un po' in russia, perché dimostra che la democrazia puzza molto anche da noi (se è vero che i capi di stato europei fanno a gara per mostrarsi grandi amici di Putin e mai una volta che ne condannino le politiche da Zar) e poi perché ci rammenta che il secondo "blocco" di armi più importante, per dimensioni e potenziale distruttivo, del mondo è in mano a un ex spia del KGB che mi pare si possa definire, con un complimento, un criminale.
Per consolarci, possiamo riflettere sul fatto che il primo Paese al mondo per le armi (con tipo il 60% delle armi esistenti) è invece guidato da una scimmia antropomorfa che ha rischiato di morire mangiando arachidi durante una partita di football.
Nel frattempo si sta armando anche la Corea del Nord, che ha portato a termine i suoi primi test nucleari e si va ad affiancare a Cina, India e Iran. La scimmia di cui sopra ha definito questi test inaccettabili. Premesso che preferirei che i nord coreani non avessero proprio nessuna cazzo di bomba, qualcuno mi spiega in base a quale principio un nord coreano deve trovare accettabile che gli americani tengano un potenziale in armi utile a demolire giove e invece noi ci incazziamo subito e gridiamo al non rispetto delle regole del giochino se questi provano a far scoppiare anche loro qualche atollo?
La domanda che mi pongo, considerati i vari frammenti raccolti in giornata, è: quali probabilità abbiamo di non vedere prima di morire (subito prima, nel caso) un bel fungone che si alza vicino a casa?
State benone.

p.s.
c'è sempre l'intervistona, non dimenticate.

mercoledì, settembre 27, 2006

Post sconnesso e incazzato

Girano.
Ooooooh come girano.
Oggi amico mio (e già ti ho chiamato “amico mio”, il momento è grave, lo capisci da te) ho proprio voglia di sfogarmi. Perché proprio io, ti chiedi preoccupato. Perché sì, mettiti comodo e sopportami come fossi un vecchio con la pipa che scanchera contro i numi avversi.
In mezzo al lagnaggio generico, mi permetterò anche di darti qualche consiglio, a te starà coglierlo.
Ma torniamo a me che è anche il mio argomento preferito.
Sono stato trombato. Roba da poco, era un lavoretto part time che facevo non tanto per i soldi (la paga era poco più di un’elemosina) quanto per guardare un po’dello sport che amo. Da una dozzina buona d’anni, una-barra-due volte alla settimana, mi sparavo un paio di ore al freddo, in piedi trattando con trogloditi ben vestiti e trogloditi mal vestiti. Comunque, sempre e solo trogloditi.
Tutto questo per potere poi vedere la mia squadra giocare.
Non che abbia gran importanza, era solo per farti capire che si trattava un po’ di una mia passione, una cosa cui ero affezionato e che facevo da quando ero poco più che cinno (bambino). Mi bullo di aver sempre lavorato piuttosto bene, quantomeno ho sempre cercato di farlo al meglio.
Da ieri ho scoperto che mi sbagliavo. Sono stato salutato senza nemmeno una spiegazione. Pare che dall’alto (dove l’alto non è stato ancora meglio identificato) qualcuno abbia deciso che io facevo entrare gente sarebbe dovuta rimanere fuori. Per cui, via!
Ora, se non lo sai, il luogo in cui lavoravo era un autentico colabrodo. Chiunque entrava gratis. Perché dalla hostess al magazziniere, dal custode al commerciale, ognuno aveva la sua cerchia di amici da blandire. Tutto questo sotto il mio naso. Certo, ma io lo avevo detto, porca troia. Più di una volta. E nessuno aveva fatto una piega. E ci sarebbe poi da divertirsi ad elencare i nomi di quelli che sono passati da me e mi hanno chiesto di far passare tizio o caio. Ed erano tutti della società. Tutti.
Non ti tedio oltre con questa storia.
L’unica cosa che vorrei sapere (se scopri qualcosa dimmelo) è chi mi ha inculato. Ho diverse possibilità.
1) La società per cui lavoro che è il fornitore del servizio per la squadra del cuore. Potrebbero averlo fatto perché il nuovo cliente è avaro e rigido. Può essere che abbian deciso di stroncare con metodo random (salvando paraculati e parenti dei capi, claro), sputare anche un po’ sui capri di turno e non dire una parola. Nel caso, ho io qualcosa da dire a un paio di “amici” con i quali ho mangiato fagioli insieme e che ora si son fatti di nebbia. Fatevi inculare, bastardi.
2) La società sportiva. Non ci credo molto ma da più parti mi giungono suggerimenti in questo senso. Io scrivo stronzate non solo qui ma anche su un forum discretamente frequentato. Pare che molti dei forumisti non allineati con la nuova proprietà di pirati siano stati epurati. Le spie in quel luogo sono tante. Resto dell’idea che uno come me contasse troppo poco. Però, però non escludo nulla, anche perché i suggeritori sono autorevoli.
3) In ultimo c’è una paranoica dagli infimi poteri che da un annetto mi ha preso in strino perché le avrei insidiato una hostess (la genialoide non si è resa conto che con cotanta accusa si rendeva ridicola e nello stesso tempo insultava l’intelligenza della hostess plagiata). Ma dubito molto.
Ma arriviamo alle conclusioni, amico mio. Cosa abbiamo imparato oggi, io e te?
Che nel mondo del lavoro gira un sacco di spazzatura umana che si spaccia per banda di allegri compagnoni (lo sapevi già? Bravo, ricordatelo).
Che essere onesti non porta quasi mai gran culo.
Che a dire o scrivere quello che si pensa non si ottiene mai rispetto, meglio pensarla come quello più grosso nel recinto e leccare culi, non importa quanto pelosi.
E, infine, ho imparato che si può perdere un po' della voglia di tifare per qualcuno che ti incula. Seguirò un po' più lo sport e parecchio meno la squadra.

Non hai capito niente? E’ lo stesso, questa l’ho scritta per me stesso, con la pancia non con la testa.