giovedì, febbraio 22, 2007

Cabum!

Caduto.
Caduto il governo Prodi.
Anzi no, mister Prodi si è dimesso dopo aver perso la maggioranza al senato sua una questione di politica estera estremamente importante. Ha scelto le dimissioni nonostante il Presidente della Repubblica (come spesso accade) non approvasse un cambio di governo dopo così poco tempo.
Trovo corretta la scelta di Prodi di dimettersi, ho trovato corretta la scelta di D'Alema di richiamare la maggioranza ad un voto unitario e vincolante su una questione importante come la missione in Afghanistan, trovo corretto che l'opposizione chieda nuove elezioni (dopo aver fatto una nuova legge elettorale, dico io, che questa è una merda indicibile, per usare un termine tecnico).
Che non avessimo una destra seria lo si era capito nei 5 anni di governo berlusconi (e il concetto è stato reiterato ieri, quando il parlamento si è trasformato nel salotto di un tifoso qualsiasi della nazionale dopo la finale con la Francia) ora sappiamo che anche a sinistra siamo messi male forte. La differenza sta nel fatto che la destra ragiona come un cinno di 8 anni, è formata da politici cafoni, per nulla diplomatici e con un'idea della politica che è fatta di rutti e scorregge in compagnia. La sinistra invece ragiona come un vecchio sclerotico di 110 anni, sembra un giapponese rimasto a presidiare l'isola deserta dagli attacchi degli americani, ragionano sul nulla e ci si incazzano pure, tronfi della loro coerenza.
Il punto fondamentale è che il vecchio e il bambino sono perfetti per vivere insieme. Ne volete la prova? Il portatore nano di democrazia è scomparso (lettera della moglie a parte) per 8 mesi. Se non sta in sella non si diverte, si intristisce e gli vengono le rughe. D'altra parte tutta l'ala radicale della sinistra diventa cupa a stare al governo, non può sopportare di vedere i liberi professionisti in piazza. Si sentono uccelli in gabbia, sono costretti a protestare con la moglie e si narra di rifondaroli in giro per i corridoi di casa con striscioni e fischietti in ricordo dei bei dì. Capite anche voi che per il loro bene, di tutti loro, sia meglio tornare a un equilibrio. Il portatore nano al governo a farsi cazzi e leggi sue (e per i numerosissimi mutlimiliardari del paese) e la sinistra in piazza a lamentarsi. Oooooh. Finalmente.
La domanda è ovviamente che si fa noi, mentre loro si sollazzano a far commedia dell'arte. La risposta è quella jannacciana di ieri, valida ancora oggi: sempre allegri bisogna stare, che il nostro piangere fa male al re, fa male al ricco e al cardinale, diventan tristi se noi piangiam.
Questa la prima pagina di Libero oggi:
Lasciamo stare la vignetta, indegna di qualsiasi commento e lasciamo stare l'idiozia del pezzo di Feltri che non mi stupisce. Voi forse non riuscite a leggere ma ci sono un paio di titoli che recitano: "Candidiamoci noi ad adottare D'Alema (magari a distanza)" e "D'Alema come Don Chisciotte". Io ho trovato questi due titoli significativi dell'idiozia di questa gente. Nessun rispetto per un politico che (non lo sto giudicando per quel che pensa, a me sta sul culo) ha giustamente reputato vincolante (non in senso stretto ma in senso politico) il voto su una questione di politica estera e una volta non ottenuta quella fiducia ha ribadito il concetto, non rimangiandosi nulla. In questo carnevale pieno di scimmie urlatrici reputo comunque degno di grande rispetto chi mantiene un contegno come ha fatto l'ex (giustamente ex) ministro degli esteri.
Buona giornata.

p.s.
in realtà volevo parlare dei grandi idioti che hanno deciso di far troiaio tutta notte per dimostrare la loro libertà in via del pratello, ma ubi maior, minor cesso.

mercoledì, febbraio 14, 2007

Personale

Un anno fa, oggi, moriva il nonno Guido. Era mio nonno, tanto per essere più chiaro.
Poiché era una persona, come si dice troppo spesso dei morti, "speciale" mi va di ricordarlo. Lo faccio pure qui, postando quel che scrissi quella sera (dice, perché tu se muore tuo nonno scrivi? Dico, sì).

Oggi è morto mio nonno (non è mancato, è proprio morto).
Non ho un'idea chiara del perché sto scrivendo sta cosa. Mi va, lo faccio.
Aveva 97 anni, dunque nulla di straordinario. Lo straordinario è forse che fino a un mese fa andasse al bar a giocare a carte, rifiutandosi di usare la zanetta che "la userò poi quando sarò vecchio".
Era il mio nonno preferito, un vecchio contadino pieno di una dignità che sapeva di antico più che di vecchio. Ricordo l'orgoglio all'arrivo dei tre nipoti maschi, quell'orgoglio genuino che può dimostrare solo chi ha coltivato i campi senza trattore e aveva buonissimi motivi per preferire gli uomini alle donne.
Ogni volta che sono andato a trovarlo, alla domanda "come stai, nonno?" ha sempre risposto allo stesso modo: "MAH!". Un mah dubbioso e ironico, di chi non è sicuro di niente perché non si fida da tanto di chi vuole vendere una sola verità, tutta intera. Nello stesso tempo un mah che lascia intuire che un pezzetto di verità lui se lo sarebbe pure guadagnato negli anni e se taci un attimo, se la pianti di fare domande idiote, magari è in giornata e te lo passa, quel pezzetto.
L'ultima volta che sono andato a trovarlo era in un letto di ospedale, silenzioso e non so fino a che punto cosciente. Gli ho chiesto come stava e lui si è tolto la maschera dell'ossigeno solo per rispondermi: "MAH!" L'infermiera voleva rimettergli la mascherina ma lui non pareva d'accordo. Nella mia testa, quel rifiuto era un po' un "senta un po' signorina, secondo lei se a 97 anni non respiro più con i miei polmoni, sarà mica il caso che non respiri affatto?".
Ora non c'è più. Curiosamente è morto il giorno della nascita di mio fratello (e per mia madre sarà ancora più strano). Le riflessioni su cicli e ricicli di vita e morte le lascio ad altri.
Ohi nonno, che aria tira di là? Non ci sono fregature vero?
MAH!

domenica, febbraio 11, 2007

Viiiiiista!

Oilalà, stiamo raggiungedo e superando ogni record di post senza risposta.
E vabbé, vedremo che si può fare per vedervi tornare su questa pagina.
Nel frattempo cerco di rendermi utile coi pochi rimasti parlando del nuovo splendido sistema operativo del bel Gates. In realtà non ho molto da dire di mio, diciamo che provo a riassumere alcuni punti chiave per i pigri. Non faccio altro che tagliare pezzi di recensioni trovate qui, qui, qui, qui e pure qui.
In breve abbiamo:
- Un botto di versioni, non si capisce perché o per come. realisticamente mi pare di aver capito che comprare la versione base significherebbe non migliorare molto da xp. Diciamo che per vedere viste quella da 300 euro ci vuole.
- La grande innovazione sarebbe la parte grafica (aero). Indubbiamente figa ma del tutto identica ai sistemi operativi mac e linux. Insomma, niente di nuovo.
- La sicurezza è migliorata, in compenso il vero problema di Vista è che è infarcito di lucchetti digitali: se non avete il monitor giusto, la stampante giusta e tutti i componenti multimediali benedetti da Hollywood e dai discografici, Vista vi impedirà di vedere e ascoltare certi prodotti legittimamente acquistati. Uno stream video in alta definizione, per esempio, verrà degradato e mostrato a bassa risoluzione, se Vista (e l'emittente) decide che non si fida del vostro hardware (HDMI, HDCP), anche se siete utenti legittimi dello stream; idem per l'audio (Il disinformatico).
- Il sistema operativo obbliga ad acquistare un livello di hardware imputtanito sempre per una ragione non meglio identificata, considerando che in media le attività che svolgiamo sono navigare, scrivere, controllare la posta, guardare le foto del mare.

Insomma, vedete un po' voi che fare.

Approfitto per salutare un po' di quella gentaglia che vedo di rado e che magari passa di qui. State bene e ogni tanto andate a guardare il mio album di foto, io lo aggiorno.
In bocca al lupo al koala per l'ultimo esame.

lunedì, febbraio 05, 2007

Strano!

E' bastato fare buh.
E' stato sufficiente che qualcuno abbia accennato alla possibilità di far giocare tutti a porte chiuse che le società di calcio hanno subito alzato la voce. E potrebbe stupire perché c'è un cadavere ancora caldo, di solito l'ipocrita coccodrillia italiana impone la classica elaborazione del lutto. Si piange un po', si grida allo scandalo, si scarica la colpa e poi si riparte.
In questo processo tipico, questa volta, si è inserito un granello che costringe la Lega calcio a protestare in fretta, quando ancora i sondaggi del corriere esprimono il disappunto degli italiani sconvolti dal dramma (rifallo tra una settimana, il sondaggio, poi vedi). La minaccia delle porte chiuse terrorizza i capi, quelli che ci mangiano e che con questa protesta sfilano la maschera mostrandoci chiaramente (ma non ne avevo poi bisogno) chi sono i veri e primi responsabili.
Loro.
Che lasciano e permettono che tutta la merda che capita, capiti. E non per incuria. No. Lo permettono perché fa loro comodo, perché porta loro soldi, perché porta cornici di pubblico, coreografie e abbonamenti sicuri. E perché se te li fai amici possono anche minacciarti qualche giocatore, perché no.
Il grido è sempre quello. Per punire pochi criminali si puniscono anche i tifosi veri. E' il solito grido dei mafiosi come Matarrese. Ma poi io sto ancora qui a parlare. Scemo io. Stiamo parlando di uno sport che ha ancora a capo, dopo quello che è successo, un personaggio come Matarrese.
Parliamo di niente. Solo amarezza.
Leggetevi Mura, un pezzo fantastico.

giovedì, febbraio 01, 2007

Mi sento un po', come dire, precario

Un annetto fa ho mandato una email ad alcuni di voi. Non avevo blog ma ogni tanto spedivo i miei deliri di saggezza presunta via email. Ne ho ripescato uno sul precariato dopo aver letto un bel pezzo di Beppe Severgnini sul Corriere della Sera. Di seguito, il pezzo di Severgnini e poi quello che scrissi io (citando in realtà, anche allora).

"Non c'è più il futuro di una volta". E' una scritta su un muro, riprodotta sulle pagine milanesi del "Corriere", e l'ho ritrovata in internet, utilizzata in tutte le salse possibili. Se è il motto dei trentenni italiani - come pare - non è male. In fondo non è una lamentela: è una constatazione.
Capisco che il Paese non abbia tempo d'occuparsi di questi dettagli: al momento è troppo preso dalle disavventure di un galletto sbranato dalla chioccia dopo aver fatto il pavone ai Telegatti (un'altra prova che l'Italia è un zoo). Però c'è in ballo il futuro di una generazione: forse è il caso di ricordarsene, ogni tanto.

Qual è il problema? Lo sapete: che la flessibilità (necessaria) è diventata incertezza (dolorosa). Il lavoro immobile - e ormai impossile, se non nella fantasia degli ultraconservatori di sinistra - ha lasciato il posto all'otto volante dell'impiego. Su e giù, giù e su, dentro e fuori, sopra e sotto. Uno all'inizio si diverte: ma poi, immagino, vien da vomitare.

Tempo fa, proprio qui, avevo proposto una modifica dell'articolo 1 della Costituzione: "L'Italia è una Repubblica fondata sullo stage". La proposta ha divertito gli interessati, ma è stato un riso amaro. Lo stage - periodo gratuito di lavoro - sta diventando un aiuto stabile che i ragazzi italiani offrono alle aziende. Domanda: ma non doveva essere il contrario?

Del lavoro dei giovani discutono le TV e le radio, i giornali, i forum e i blog, l'università (che di futuro incerto è produttrice instancabile). La "Fondazione del Corriere della Sera" dedicherà all'argomento tre incontri in Sala Buzzati il 6, 13 e 20 febbraio. Sono usciti libri di tutti i tipi: informati, preoccupati, dotti e acuminati, come "Curriculum tipico di un trentenne atipico" (Marsilio). Scrive l'autore, Fabrizio Buratto: "Sono sempre stato un lavoratore atipico, anche quando non ci chiamavano così. Prima 'co.co.co', poi 'co.co.pro', poi 'cu.curu.cu.cu.paloma', poi 'a progetto'. Finito il progetto degli altri, per portare avanti i nostri progetti, dobbiamo cercare altri progetti, senza fare troppi progetti sui progetti altrui, che non sono mai sicuri." E' un buon riassunto. La mobilità, nelle economie di mercato, si compensa: ti do meno sicurezza domani, ma più soldi oggi. In Italia, no. Le retribuzioni sono rimaste uguali: ma prima erano stipendi sicuri, ora compensi occasionali. Le banche vogliono garanzie come vent'anni fa: negozi, ristoranti e servizi applicano prezzi modernissimi (fin troppo). Il popolo dei 1.000 euro (lordi) paga e si svena.
...
Certo, non per tutti è così. Qualche Sandokan - bravo, svelto, fortunato o protetto (magari queste cose insieme) - dalla giungla esce vincente, e va avanti. Ma quanti sono? La maggioranza non ha sentieri davanti a sé: solo ostacoli, oscurità e occasioni. Vederle al buio, però, non è facile. Si rischia di cadere, picchiare la faccia e farsi male. Come dire: non c'è più il futuro di una volta, e anche il presente lascia a desiderare.(Beppe Severgnini)

Sono andato a cercare la definizione esatta del termine precarius.

Il vocabolario dice: precario, mendicato, ottenuto con preghiere o per favore; che dipende dall’altrui arbitrio.

Lingua interessante questo latino, non ho in mente definizione migliore di questa per definire il lavoro. Altro che flessibile, precario è la definizione più adatta.

Cito: “Sul piano sociale e psicologico, l’impatto più profondo della flessibilità consiste nel rendere precaria la posizione delle persone prese di mira e nel mantenerle precarie, con l’adozione di misure quali la sostituzione dei contratti a tempi indeterminato e garantiti dalla legge con assunzioni a tempo indeterminati e garantiti dalla legge con assunzioni a termine o collaborazioni temporanee, che permettono il licenziamento immediato. Tutte tecniche di assoggettamento che, nel complesso, producono una situazione di incertezza endemica e permanente. La cieca esecuzione dei compiti fissati dalle imprese si radica in questo senso di incertezza annichilente, nella paura, nello stress e nell’ansia dell’incertezza. E poi c’è l’arma decisiva: la minaccia costante, a tutti i livelli delle gerarchia, del licenziamento, e quindi della perdita dei mezzi di sussistenza, dei diritti acquisiti, di un posto nella società e della dignità umana che esso comporta. Il fondamento ultimo di tutti i regimi economici che si pongono sotto il segno della libertà è perciò della violenza strutturale della disoccupazione, della precarietà e dell’implicita minaccia del licenziamento”(Zygmunt Bauman).